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LA CONTROVERSA RIFORMA COSTITUZIONALE IN UNGHERIA

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Il parlamento ungherese ha adottato una serie di emendamenti alla Costituzione, proposta dal partito conservatore Fidesz del primo ministro Viktor Orban. Nonostante il voto sia stato boicottato dalle opposizioni, la larga maggioranza su cui Fidesz può contare in parlamento, circa i due terzi dei seggi, ha fatto sì che gli emendamenti venissero approvati. Le novità introdotte, che riguardano tra le altre cose la limitazione del potere della Corte Costituzionale nell’esercizio del controllo sulle leggi approvate dal parlamento, sono state duramente criticate dall’Unione Europea e dagli USA, che le hanno definite “antidemocratiche” (1). In realtà questo processo di riforme costituzionali è in corso da qualche anno, e soprattutto dal biennio 2010-2011, da quando cioè fu approvata la nuova Carta costituzionale ungherese, nel 2011. Il 29 giugno 2010, con la risoluzione 47/2010 il parlamento ungherese aveva istituito una commissione ad hoc per la redazione del testo costituzionale, composta da 45 membri, 30 dei quali delegati dalla coalizione di governo. Un’altra risoluzione, la 9/2011, ammetteva al dibattito in aula ogni proposta di emendamento che ottenesse almeno la metà dei consensi di almeno un gruppo parlamentare. Tuttavia, la bozza presentata il 14 marzo, discussa all’Assemblea Nazionale in soli nove giorni, era il frutto del lavoro di un comitato composto da soli tre membri, tutti di nomina governativa. Fra i dubbi e le critiche espressi in merito al processo costituente, spicca il giudizio formulato a marzo dalla Commissione di Venezia, un organo consultivo del Consiglio d’Europa che ufficialmente porta il nome di “Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto”, interpellata dal governo ungherese con alcuni quesiti specifici, come ad esempio l’opportunità dell’incorporazione nella nuova Costituzione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Commissione, adita dalle autorità magiare senza presentare una versione del testo, non ha potuto che dare il proprio parere “a scatola chiusa”. Ciò non ha impedito, però, che essa si esprimesse in maniera critica sui lavori preparatori della Costituzione, giudicati scarsamente trasparenti e dai tempi talmente serrati da non consentire un sufficiente dibattito pubblico. La commissione ha giudicato inoltre preoccupante l’esclusione delle forze di opposizione, dopo che queste ultime hanno ritirato i propri rappresentanti dalla commissione ad hoc in segno di protesta contro le forti limitazioni imposte dalla maggioranza alle competenze della Corte costituzionale. Il governo di Budapest si è inoltre rifiutato di sottoporre a referendum il testo approvato dal parlamento, preferendo un’insolita consultazione popolare in forma di “questionario” spedito a ogni cittadino ungherese prima che fosse stata resa nota la bozza della costituzione, dove si chiedeva di rispondere a dodici domande di questo tipo: “Deve la nuova Costituzione assumersi la responsabilità per le generazioni future?” (2). Gli emendamenti che limiterebbero le libertà politiche e civili sono diversi: è stata ridotta la possibilità per i partiti politici di fare campagna elettorale attraverso i media nazionali; gli studenti potranno ottenere delle sovvenzioni statali solo se si impegnano a lavorare in Ungheria dopo la laurea (che norma liberticida!); sono state introdotte multe e pene detentive per stroncare il fenomeno del vagabondaggio; è stata definita la categoria di “famiglia”, che non includerà più le coppie non sposate, quelle senza figli e quelle formate da persone dello stesso sesso (un’altra norma controcorrente in un’Europa dove i valori religiosi e tradizionali sono insignificanti!).

Sabato 9 marzo i partiti di opposizione e le organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti civili in Ungheria avevano organizzato una manifestazione di protesta contro gli emendamenti proposti da Fidesz di fronte all’edificio del parlamento di Budapest. Diversi costituzionalisti ungheresi si erano uniti alle critiche, definendo le riforme come un’abolizione sistematica dell’ordine costituzionale del paese. Viktor Orban è primo ministro ungherese dall’aprile 2010. Già durante il suo primo anno di governo, Orban aveva fatto approvare dal parlamento alcune leggi che regolamentavano la libertà di espressione in Ungheria: per esempio, una legge del dicembre 2010 sottoponeva i media nazionali a un rigido controllo da parte di un’autorità nominata dal parlamento, dominato dal Fidesz. I più colpiti erano stati le testate giornalistiche, le reti televisive e i siti internet, che, se ritenuti responsabili di “compromettere la dignità umana”, potevano essere puniti con multe salatissime.

Lo scontro con l’Unione Europea, di cui l’Ungheria è Stato membro, sulla questione della riforma della Costituzione era già iniziato nel gennaio 2012: la Commissione europea aveva avviato tre procedure d’infrazione, più volte annunciate, contro l’Ungheria, a causa di alcune modifiche costituzionali entrate in vigore il primo gennaio che erano state ritenute incompatibili con il diritto europeo. La scorsa settimana l’Unione Europea e il Dipartimento di Stato americano avevano chiesto a Orban di rimandare il voto, valutando di nuovo le modifiche costituzionali non compatibili con gli impegni che l’Ungheria si è presa aderendo all’UE. Il Fidesz si era però rifiutato. Inoltre la Commissione europea e il Consiglio d’Europa hanno fatto sapere che gli emendamenti «suscitano preoccupazione in relazione al rispetto dello Stato di diritto, delle leggi europee e degli standard del Consiglio d’Europa». Tra i provvedimenti incriminati, a sentire i critici, compresa la costituzionalista di Princeton Kim Lane Scheppele, figurano la limitazione dei poteri della magistratura, della libertà di stampa e dell’autonomia finanziaria delle università. Il pacchetto comporta anche la potenziale “criminalizzazione” dei senzatetto, prevede che le chiese debbano collaborare con lo Stato, ribadisce la natura eterosessuale del matrimonio e impone – sempre in via potenziale – ai laureati che hanno ottenuto borse di studio di lavorare in Ungheria per un determinato periodo di tempo. La stampa estera denuncia quasi all’unisono queste misure, mentre il ministro degli esteri Janos Martonyi, che ha appena inviato una lettera a tutti gli omologhi europei, tende a rassicurare e sottolinea l’eccessivo baccano mediatico.

A Budapest c’è chi è sceso o scenderà in piazza contro Orban e prenderà invece le sue difese (3). Bianco e nero, buoni e cattivi. L’Ungheria continua a dividere e a dividersi. Al di là dei giudizi di merito, è il caso di chiedersi perché mai Orban abbia deciso di rilanciare in blocco tutti questi temi e di dare ad essi rilevanza costituzionale, facendoli confluire nella legge fondamentale entrata in vigore tra mille polemiche il primo gennaio 2012. Il fatto è che il testo varato dal parlamento mette insieme molte leggi ordinarie già approvate dalla maggioranza, ma bocciate dalla Corte costituzionale nel corso del tempo. Gli alti togati hanno dichiarato l’incostituzionalità delle norme sui senzatetto, dell’obbligo dei riceventi borse di studio pubbliche di restare a lavorare in Ungheria dopo la laurea e di alcune misure che interferivano con l’indipendenza dei giudici. Allora, perché il primo ministro si prende il rischio di aumentare la tensione della “guerra civile fredda” in corso in Ungheria, nonché quello di aprire un fronte con Bruxelles? Ci sono diverse letture. La prima è di carattere ideologico. Viktor Orban crede che lui e solo lui può e deve cambiare l’Ungheria, reduce da una transizione “spuria” che ha impoverito il paese economicamente e lasciato agli eredi del comunismo, che tanti danni fece, il diritto di calpestare l’arena pubblica e politica. La miscela di patriottismo, conservatorismo, voglia di resa dei conti con l’establishment post-comunista è la cifra dell’azione di Orban. La nuova Costituzione – atto di per sé legittimo perché la vecchia fu approvata al tempo del socialismo reale – è lo strumento con cui intende riformare l’Ungheria. Ci sono anche altre variabili. Scheppele, il giurista di Princeton, fa notare che entro l’aprile del 2014 il parlamento avrà nominato nove dei quindici membri della Corte costituzionale. È molto probabile che i nuovi esponenti del supremo organo giudiziario siano in quota Fidesz. Ne consegue, se le cose andassero così, che sarà difficile che sconfessino il pacchetto di leggi fresco di approvazione. Orban guarda anche alla prossima scadenza elettorale. Nel 2014 l’Ungheria andrà al voto e i sondaggi dicono che può giocarsela ancora. Il consenso del Fidesz è calato rispetto all’abbuffata di voti alle politiche del 2010 (52,73 per cento), anche pesantemente. Un recente rilevamento della società Median dice che il partito gode dell’appoggio di ventisei ungheresi su cento. Ma dall’altra parte c’è un’opposizione che non prende quota (socialisti al dodici e transfughi centristi dei socialisti all’otto). E bisogna contare gli indecisi: sono intorno al quaranta per cento. Due i ragionamenti che Orban potrebbe aver fatto. Il primo: blindare la Costituzione adesso evitando di portare le proteste a ridosso del voto. Il secondo: conquistare il voto degli indecisi, molti dei quali hanno votato Fidesz nel 2010. Come farlo? Attraverso la leva economica. L’Ungheria viene da anni molto duri. La produzione industriale è scesa dell’1,7% nel 2012. I consumi e gli investimenti dall’estero, rispetto al periodo pre-crisi, del dieci e del ventisette rispettivamente. Orban ha rifiutato le ricette austere del Fondo Monetario, realizzando una politica “non ortodossa”: più tasse sui grossi investimenti dall’estero, controllo sulla Banca centrale (il nuovo governatore è l’ex ministro dell’economia Janos Matolcsy) e tassi al minimo storico. Finora la ricetta non sembra avere prodotto risultati confortanti. Ma nel 2013 – così dice il governo – dovrebbe arrivare un minimo di ripresa e Orban potrebbe “distribuire” un po’ in vista della tornata del 2014, spingendo su il consenso. Eppure c’è un ostacolo. L’Ungheria è tenuta a riportare il deficit (pari al 3,4 per cento) sotto l’asticella del tre, come previsto dalle regole europee. Se non lo dovesse fare entro metà 2013, la Commissione potrebbe aprire una procedura d’infrazione e rovinare i piani del governo di Budapest.

Secondo alcuni intellettuali e giuristi, gli emendamenti, voluti dal premier populista, nazionalista ed euroscettico Viktor Orban allontanano ulteriormente Budapest dall’Europa democratica. Sono stati toccati in totale 22 articoli della Costituzione magiara, entrata in vigore nel 2012 e sponsorizzata, tra l’altro, dallo stesso Orban e dal Fidesz. A sottolineare il sentimento di alcuni movimenti politici del paese poi c’è stato il vero e proprio “Aventino” dei deputati socialisti, che hanno abbandonato l’aula parlamentare in segno di protesta contro le riforme costituzionali del governo conservatore. Inoltre, alcuni politici ungheresi pensano che l’obiettivo finale di Orban sia quello di eliminare ogni opposizione al governo. Proprio queste novità hanno indotto alcuni commentatori a parlare di un “golpe bianco” da parte di Orban e del Fidesz.

La reazione da parte dell’Europa non si è fatta attendere. In una dura e inusuale nota congiunta il Presidente della Commissione europea Barroso e il segretario generale del Consiglio europeo Jagland hanno dichiarato che gli emendamenti “destano preoccupazione per il rispetto dello Stato di diritto, delle leggi Ue e degli standard del Consiglio d’Europa” e hanno chiesto all’Ungheria di avviare “contatti bilaterali con le istituzioni europee per venire incontro a ogni preoccupazione”. Non sono mancate, naturalmente, reazioni anche all’interno del paese. L’ex Presidente della Repubblica Solyom ha lanciato un appello affinché l’attuale Presidente, Janos Ader, ponga il proprio veto sulle modifiche. È però improbabile che Ader, politicamente vicino a Orban, ostacoli gli emendamenti. Una prima risposta è stata data da Gergely Gulas, uno dei membri più in vista del Fidesz. “Nonostante il chiasso internazionale e interno è naturale che la maggioranza di governo usi il mandato ricevuto con elezioni democratiche”, ha dichiarato. “La gente si preoccupa delle bollette, non della Costituzione” ha annunciato Viktor Orban (4). Tutta questa situazione però ci spinge ad una breve riflessione: il modello della democrazia liberale, che da circa 70 anni coinvolge il continente europeo, sembra risentire fortemente della crisi economica. Non è strano quindi che alcuni dirigenti politici cerchino soluzioni alternative, per evitare alle proprie nazioni il tracollo generale. La Grecia è un esempio per tutti; bisogna aspettare una situazione del genere per avviare delle riforme serie?

Viktor Orban, a prescindere da giudizi eccessivamente ideologici, sta cercando di trovare una soluzione ragionevole, per evitare dei drammi alla propria nazione; per fare ciò, bisogna capire che non bastano provvedimenti economici, ma bisogna istruire e riformare la mentalità di un popolo, anche con azioni e norme “forti”, in quanto, da diversi decenni, i politici europei hanno parlato solo ed esclusivamente di diritti, ma nessuno osava più parlare di doveri: a scuola però mi avevano insegnato che diritti e doveri vanno di pari passo, ma la società borghese sembra interessarsi solo ai primi. Una nazione europea non può trovare una soluzione ragionevole all’attuale crisi economica senza dei valori forti, che pongano la base di una resurrezione sociale, altrimenti l’Europa rischia un declino lento, ma inesorabile. Se in Ungheria il governo decide di attuare delle riforme, che secondo certi canoni fossilizzati vengono bollate come “antidemocratiche”, se il partito di maggioranza relativa in Italia è un movimento che ha nel proprio programma la proposta di un referendum per l’uscita dell’Italia dall’Euro, e se altrove crescono i movimenti euroscettici, la colpa di certo non è dei popoli, ma dei dirigenti europei che hanno trascinato un continente dalle enormi possibilità in un baratro culturale, sociale ed economico, dal quale si può uscire solo con scelte coraggiose, che non necessariamente devono avere il consenso dei burocrati di Bruxelles e dell’amministrazione nordamericana.

 

 

 

1- http://www.ilpost.it/2013/03/11/la-riforma-della-costituzione-in-ungheria/

2- http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/telescopio/0029_desimone.pdf

3- http://www.europaquotidiano.it/2013/03/12/orban-ungheria/

4- http://ilreferendum.it/2013/03/12/ungheria-una-svolta-che-preoccupa-leuropa/

 

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