Gábor Vona, presidente dello Jobbik (Jobbik Magyarországért Mozgalom, “Movimento per un’Ungheria Migliore”) e candidato alla funzione di Primo Ministro d’Ungheria alle elezioni del 2010, ha accettato di rispondere ad alcune domande rivoltegli dal direttore di “Eurasia”.
C. Mutti – Il sistema mediatico occidentale presenta comunemente Jobbik come il partito dell’estrema destra ungherese. Allo stesso tempo, Jobbik viene accomunato al Fidesz, nonostante il Fidesz sia partito di governo e lo Jobbik si trovi all’opposizione. Quali sono le caratteristiche fondamentali dello Jobbik e in che cosa esso si differenzia dal Fidesz?
G. Vona – Lo Jobbik si professa partito nazionale radicale. “Nazionale” significa che noi vogliamo rappresentare gl’interessi degli Ungheresi, dell’Ungheria, mentre “radicale” è un approccio metodologico dello stesso genere. La situazione è radicalmente cattiva; perciò chi vuole un cambiamento di merito, deve essere radicale. Ma è importante sottolineare che né l’impegno nazionale né il radicalismo costituiscono un sistema di valori. Se dovessi definire il sistema di valori dello Jobbik, potrei dire che siamo conservatori. Noi rappresentiamo e difendiamo i valori umani tradizionali, universali, secondo le nostre possibilità in questo mondo modernista e decadente. Il Fidesz non è né nazionale, né radicale, né tradizionalista. Il Fidesz è un partito opportunista e tecnocratico, che cambia il sistema di valori così come si cambia la biancheria intima. Il nostro sfondamentosul versante nazionale ha trascinato il Fidesz, ma ciò non deve indurre in errore nessuno. Si tratta essenzialmente di un partito modernista e liberale, la cui prospettiva è molto più vicina a quella dei socialisti che non alla nostra.
C. Mutti – Lo stesso sistema mediatico è solito etichettare lo Jobbik con alcune definizioni (“populista”, “razzista”, “antisemita” ecc.) che nel linguaggio della propaganda politica vengono spesso usate in maniera impropria. Qual è, secondo Lei, lo scopo per cui tali termini vengono utilizzati nei confronti dello Jobbik?
G. Vona – Il senso di ciò è semplice. Se l’oligarchia politica dominante non vuole, non osa affrontare la discussione con un nuovo partito, perché teme di essere sconfitta, allora la cosa più semplice è ricorrere all’accusa di antisemitismo. Questa accusa oggi costituisce un marchio più infamante di qualunque altro; tutti si tengono lontano da chi ne è colpito, tutti lo scansano. Non desidero dare spiegazioni, perché non ce n’è ragione. Noi non abbiamo nessuna proposta di legge, nessun punto programmatico, che voglia discriminare tra un uomo e un altro uomo. Noi diciamo apertamente la verità per quanto riguarda Israele, e ciò lede gl’interessi di molti individui. Il fatto che il mondo stia cambiando sempre più dimostra che questa caccia alle streghe interessa sempre meno alla gente. La popolarità dello Jobbik aumenta, nonostante tutte le menzogne e le insinuazioni nei nostri confronti.
C. Mutti – L’accusa di “antisemitismo” viene usata correntemente dai sostenitori dello “Stato d’Israele” per demonizzare coloro che ne contestano la legittimità o anche semplicemente ne criticano il comportamento. Qual è la posizione di Jobbik per quanto riguarda l’esistenza dello Stato ebraico in Palestina?
G. Vona – È proprio di questo che ho parlato. Anche se la creazione dello Stato d’Israele è avvenuta in un modo alquanto anomalo, che è causa di numerosi problemi, noi siamo per l’idea dei due Stati; vale a dire, riconosciamo sia agli Ebrei sia ai Palestinesi il diritto ad uno Stato indipendente. Da tempo le potenze internazionali avrebbero dovuto imporne la realizzazione, se la maggior parte di esse non fosse influenzata dalla lobby sionista.
C. Mutti – Se non sbaglio, Lei ama definirsi “EU-realista”. Che cosa significa? Vorrebbe spiegare che cosa intende quando parla di “Europa delle Nazioni”, in alternativa all’Unione Europea?
G. Vona – No, non sbaglia, io sono davvero “EUrealista”; considerando la situazione odierna, ciò equivale ad essere “euroscettico”. Per questa Unione Europea io non prevedo un grande futuro. A quanto vedo, anziché costruire il proprio futuro sul sistema di valori della tradizione europea, essa cerca di sfuggire ai propri problemi gettandosi nell’abbraccio mortale degli Stati Uniti d’America. Questa è una strada sbagliata. Noi Europei dobbiamo adottare un modello sociale, economico e politico che si adatti organicamente al nostro sviluppo storico. Questo non può essere se non l’Europa delle Nazioni, ossia una comunità statale di tipo federale; invece degli Stati Uniti d’Europa, una confederazione paritaria per la gestione degli affari comuni. Non bisogna indebolire ulteriormente gli Stati nazionali, ma bisogna rafforzare ciascuno di essi. La famiglia forte si regge su membri forti, la nazione forte su famiglie forti, l’Europa forte su nazioni forti.
C. Mutti – In un mio scritto dell’anno scorso (A oriente, Ungherese!) ho avuto modo di esporre ai lettori di “Eurasia” le posizioni contenute in un Suo articolo intitolato Eurasiatismo, non euroatlantismo! (“Barikád”, 7 giugno 201). Vuole illustrarci Lei stesso le idee espresse in quell’articolo?
G. Vona – L’Unione attuale rappresenta una strada sbagliata, liberale, che ha perduto i valori europei per adottare modelli americani sul piano culturale, economico e politico, anziché procedere nella propria direzione. Nella gravissima situazione attuale, è l’Europa stessa a dover trovare una via d’uscita, come ho già detto; ma devo anche aggiungere che la via d’uscita è ad oriente. Io vedo due articolazioni eurasiatiche che non solo noi Ungheresi, ma tutti gli Europei dovrebbero rivalutare. Una è la Russia, l’altra è la Turchia. Ambedue presentano problemi di non facile soluzione, poiché per gli Stati europei il rapporto con la Russia risulta complesso per via del passato storico e del sistema capitalistico di Stato, mentre le relazioni con la Turchia comportano la questione dell’immigrazione e della religione islamica. Ma queste, a mio parere, sono solo delle questioni, non impedimenti. L’Europa deve muoversi in questa direzione. È questo il nostro interesse sia politico, sia economico, sia culturale. Per noi l’americanismo è come un virus mortale. Si insinua nel nostro organismo, ne paralizza il funzionamento, abbatte il sistema immunitario e infine ci uccide. Quanto prima allontaneremo da noi questo virus, tanto più facile sarà il nuovo inizio. E un nuovo inizio sarà necessario.