“European Phoenix” intervista Claudio Mutti, direttore di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.
D. – Prof. Mutti, l’attuale crisi siriana vede, a differenza di quella libica di un anno fa, la contrapposizione più chiara del blocco euroasiatico formato da Russia, Cina e Iran contro quello atlantico capeggiato dagli Stati Uniti, con il primo schierato a favore del presidente Assad e il secondo teso a destabilizzarlo. Lei cosa ne pensa e che ruolo possono giocare le due potenze nucleari? Si ripeterà quanto già visto in Libia?
R. – La Risoluzione dell’ONU che consentì alla NATO di aggredire militarmente la Libia e di occupare militarmente il paese venne approvata grazie all’astensione di Russia e Cina. Adesso sembra proprio che Mosca e Pechino si siano svegliate e intendano evitare il bis del disastro libico. Il comunicato emesso alcuni giorni fa dal governo cinese in occasione della visita di Putin a Pechino è chiarissimo: “La Cina e la Russia si oppongono a qualunque intervento straniero in Siria ed a cambiamenti politici perseguiti con la forza”. Il doppio veto ribadito dai due governi a favore della Siria non è motivato soltanto da una cooperazione energetica russo-cinese che comprende l’Iran, di cui Damasco è alleata storica, ma anche da comuni interessi geostrategici minacciati in vario modo dall’Occidente: con lo “scudo missilistico”, col coinvolgimento del Giappone e della Corea del Sud nella strategia statunitense, coi tentativi compiuti da Obama per implicarvi anche l’India, col rilancio del progetto della “Grande Asia Centrale”, finalizzato a bloccare Russia e Cina. In questo confronto tra i due schieramenti, la Siria rappresenta una posta in gioco decisiva.
D. – Nel suo famoso libro “La grande scacchiera” Zbigniew Brzezinski ha chiaramente illustrato le linee guida della politica statunitense dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che hanno come obiettivo il controllo dell’Eurasia o di parte di essa, creando importanti teste di ponte – - come l’Europa ad esempio – in funzione antirussa. La Siria, a suo avviso, fa parte di questo piano con lo scacchiere del Vicino Oriente ?
R. – Caterina II affermava che le chiavi della casa russa si trovano in Siria. Infatti la Siria è la porta dell’Asia, poiché chi la controlla controlla il Vicino Oriente ed ha accesso alla Via della Seta. In quello che è stato definito “il secolo del gas”, chi si impadronisse della Siria, il paese mediterraneo più ricco di gas, avrebbe a disposizione uno strumento di egemonia mondiale. L’aggressione contro la Siria si configura dunque, simultaneamente, come la prima guerra della “geopolitica del gas”, come un attacco inteso a spezzare l’”Asse della Resistenza” e come un tentativo di espellere la Russia dal Mediterraneo. In Siria si decide dove dovranno passare le nuove frontiere che separano i blocchi geopolitici contrapposti: la NATO e l’Organizzazione di Sciangai. Le altre motivazioni che vengono addotte sono pretestuose, demagogiche o prive di senso; lo scontro che ha luogo in Siria infatti non è né per i “diritti umani” né contro uno “Stato laico” (la Costituzione siriana stabilisce infatti che la fonte principale della legislazione è il diritto islamico e che il presidente deve essere di religione musulmana).
D. – A Mosca è ritornato Vladimir Putin, che ha destato non pochi timori nell’Occidente americanocentrico. Come vede questo ritorno di colui che ha ridato speranza e dignità alla Russia, in relazione all’intricata situazione della regione del Vicino Oriente, dove Mosca possiede ancora l’importante base navale di Tartus in Siria, unico punto di attracco per la sua flotta nel Mediterraneo? In particolare, quali sono gli interessi geopolitici di Mosca nella Regione?
R. – Dopo la disgregazione dell’URSS, la politica di Mosca nel Vicino e nel Medio Oriente ha conosciuto parecchie difficoltà, dovute a tre eventi principali: il passaggio dell’Egitto alla sfera egemonica nordamericana, la distruzione dell’Iraq e l’occupazione occidentale dell’Afghanistan. Il terzo mandato di Vladimir Putin dovrebbe segnare la ripresa di un ruolo della Russia nello scacchiere. Il 9 maggio scorso, celebrando la vittoria dell’URSS nel secondo conflitto mondiale, il presidente ha sottolineato la necessità per la Russia di essere pronta a un nuovo sacrificio, per garantire la sovranità del Paese. Nei giorni successivi alla sua investitura, Putin si è occupato delle forze armate, dell’industria militare russa e del sistema di alleanze militari. Ha continuato questa mobilitazione con la scelta di fare della Siria la linea rossa da non oltrepassare. Per quanto riguarda in particolare lo scacchiere mediterraneo, egli ha fatto ricorso ad un parallelo storico piuttosto eloquente, paragonando l’invasione occidentale della Libia all’annessione tedesca del Sudetenland e un’eventuale attacco alla Siria all’attacco tedesco contro la Polonia.
D. – Con l’Iran Mosca aveva a suo tempo dato il via libera alla vendita dell’ottimo sistema d’arma anti aereo S 300, che avrebbe consentito a Teheran di meglio difendersi da un eventuale attacco israelo-statunitense. Il tutto fu poi bloccato dal presidente Medvedev nel 2010, in ottemperanza a quanto deciso dall’Onu in sede di sanzioni contro l’Iran. Ora le carte potrebbero essere rimescolate da Putin, che durante il suo precedente mandato aveva incontrato il suo omologo, il presidente Ahmadinejad. Come vede i futuri rapporti tra le due grandi nazioni euroasiatiche, legate da comuni interessi economici e geopolitici, anche alla luce dell’importante questione legata al nucleare pacifico iraniano, dove Mosca ha costruito in Iran la centrale nucleare di Bushehr?
R. – Putin ha dichiarato la propria preoccupazione per la ripetuta minaccia di un’operazione militare contro l’Iran e ha detto che, se ciò accadesse, le conseguenze sarebbero veramente disastrose. La proposta di Putin è di riconoscere il diritto dell’Iran a sviluppare il suo programma nucleare civile, compreso il diritto di produrre uranio arricchito, tutto sotto il controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). L’Iran è per Mosca un alleato strategico fondamentale, innanzitutto perché, coi suoi 1500 chilometri di litorale, può consentire alla Russia l’accesso all’Oceano Indiano, vanificando in tal modo quel progetto atlantista di soffocamento della Russia che va sotto il nome di “strategia dell’anaconda”. L’asse Mosca-Teheran può risolvere molte contraddizioni esistenti tra la Russia e i musulmani dell’Asia centrale e caucasica, contraddizioni alimentate ed utilizzate dall’Occidente per destabilizzare l’area e penetrarvi. In particolare, il modello di ortodossia islamica rappresentato dall’Iran può contrastare la diffusione di quei movimenti settari (wahhabiti, salafiti ecc.) che l’Imam Khomeini accomunava sotto la definizione di “Islam made in USA”.
D. – Riguardo la drammatica questione palestinese, se al tempo dell’Unione Sovietica vi era stato un appoggio anche concreto, più che altro in funzione antiamericana, oggi sembra che vi sia poco interesse da parte della Russia alla sorte di questo popolo martirizzato. Eppure in termini d’immagine all’interno del mondo arabo sarebbe certamente una carta spendibile. Lei che ne pensa?
R. – In un articolo scritto per “Eurasia” un paio d’anni fa, il nostro autorevole collaboratore russo Vagif Gusejnov (direttore dell’Istituto di analisi e studi strategici di Mosca e della rivista “Vestnik Analitiki”) ha deplorato il fatto che la Russia non abbia svolto finora azioni concrete, nonostante la correttezza e la coerenza delle sue dichiarazioni, in cui viene ribadita la necessità di conseguire l’unità del popolo palestinese come punto di partenza di qualunque processo negoziale. Nell’articolo dedicato alla sua futura politica estera e pubblicato all’inizio di quest’anno su “Moskovskie Novosti”, Vladimir Putin si è espresso nei termini seguenti: “Per quanto riguarda il conflitto arabo-israeliano, una ‘ricetta magica’ in grado di risolvere la situazione non è ancora stata trovata. Non bisogna in nessun caso rinunciare. Data la vicinanza delle nostre relazioni con il governo israeliano e i dirigenti palestinesi, la diplomazia russa continuerà a contribuire attivamente al restauro del processo di pace bilaterale e nell’ambito del Quartetto per il Medio Oriente, coordinando le sue azioni con la Lega Araba”. Vedremo quali saranno le applicazioni di questa dichiarazione d’intenti.
D. – Prof. Mutti, quali sono attualmente i rapporti tra Russia e Israele e come potranno svilupparsi quelli futuri? Non dimentichiamo che nella breve guerra del 2008 vi fu l’appoggio dato dagli israeliani alla Georgia, dove oltre ai cospicui armamenti forniti, erano presenti consiglieri militari e contractors sionisti. Sulla carta tutto divide Russi e Israeliani, con i secondi punta di lancia da sempre della politica statunitense nell’area.
R. - La Russia (così come la Cina) ha tutto l’interesse a impedire l’egemonia dello Stato ebraico nel Vicino Oriente. Dato lo stretto vincolo che unisce il regime sionista agli USA e data l’influenza esercitata dai “poteri forti” ebraici sulla politica statunitense, un ulteriore rafforzamento delle posizioni israeliane costituirebbe una minaccia strategica anche per la Russia. Infatti lo Stato ebraico non solo rappresenta il cardine del progetto egemonico statunitense nel Vicino Oriente, ma agisce anche come fattore di perturbazione dei rapporti della Russia con altre potenze regionali, Turchia e Iran in primis.